L’INPS chiede i soldi indietro a un pensionato: attenzione potrebbe succedere anche a te

Lo svolgimento di attività lavorativa “in nero” incide sul pagamento della pensione. Quando si rischia di perderla?

Il lavoro in nero è una gravissima problematica che ha effetti deleteri non solo nei confronti dei lavoratori interessati (privandoli dei propri diritti), ma anche dello Stato (che deve fare i conti con il mancato introito di somme dovute). Per tale motivo, contrastarlo è un vero e proprio dovere.

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Pensionato scoperto a lavorare in nero, l’INPS chiede i soldi indietro: ecco a cosa fare attenzione (settemuse.it)

Ma cosa succede se un pensionato viene sorpreso a lavorare in nero? L’INPS potrebbe intervenire per chiedere la restituzione delle somme fino a quel momento percepite? Al riguardo è intervenuta una recente ordinanza della Corte di Cassazione, che ha stabilito un principio diretto a evitare situazioni di frode ai danni dello Stato. Analizziamo il provvedimento e scopriamo cosa hanno evidenziato i giudici.

Pensione sottratta a lavoratore “in nero”: la decisione della Corte di Cassazione impone un fondamentale principio

Con l’ordinanza n. 27572 del 16 ottobre 2025 della Sezione Lavoro, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’INPS può pretendere, dal pensionato che ha svolgo un’attività lavorativa in nero, le somme che ha versato a titolo di assegno previdenziale.

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Pensione sottratta a lavoratore “in nero” (settemuse.it)

Si tratta, infatti, di denaro che è stato percepito in maniera indebita. La normativa richiamata dai giudici alla base del provvedimento è l’articolo 13 della Legge n. 412/1991, in base al quale l’omessa o incompleta segnalazione da parte del pensionato di situazioni che possono incidere o compromettere il diritto o la misura del trattamento percepito, di cui l’Ente previdenziale non sia a conoscenza, da diritto alla “ripetibilità delle somme indebitamente percepite”.

Nel caso analizzato dalla Corte di Cassazione, il pensionato non aveva comunicato all’INPS che stava svolgendo un’attività lavorativa al momento della presentazione della richiesta per la pensione di anzianità. Questo rapporto di lavoro, completamente “in nero”, non consentiva l’accesso al trattamento pensionistico.

Il lavoratore interessato aveva obiettato che era impossibile addebitargli l’omessa comunicazione all’INPS dello svolgimento dell’attività lavorativa, sostenendo che non poteva denunciare tale condizione, per evitare ripercussioni sul proprio datore di lavoro e il rischio di dover rinunciare all’impiego. I giudici hanno, infatti, specificato che l’instaurazione di un regolare rapporto di lavoro non è rimessa alla libera scelta delle parti o a un’imposizione da parte del datore di lavoro.

Tutti i dipendenti, infatti, devono pretendere che la propria attività lavorativa sia adeguatamente regolarizzata da un valido contratto. Di conseguenza, la mancata comunicazione all’INPS non era da ritenersi legittima per il mancato esercizio di un diritto del dipendente nei confronti del datore. Tale condizione, infatti, derivava da una scelta del pensionato, che non ha alcuna valenza sulla sfera giuridica dell’INPS.

In conclusione, il pensionato che dovesse incorrere in situazioni che potrebbero incidere sul diritto o la misura della pensione, deve darne tempestiva comunicazione all’INPS o, in caso contrario, sarà tenuto alla restituzione delle somme percepite.

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