Il pignoramento della pensione deve avvenire rispettando precise regole. Ma quando non ci sono limiti per l’INPS?
Il tema del pignoramento delle pensioni desta sempre numerose preoccupazioni e perplessità, perché i contribuenti temono la sottrazione dell’intera somma spettante, conseguita dopo anni di sacrifici.
Nell’ipotesi del pignoramento della pensione (che è una forma di pignoramento presso terzi), l’INPS trattiene una parte dell’assegno del pensionato debitore, per soddisfare completamente le pretese creditorie. Per tutelare i contribuenti, la legge impone il rispetto di determinati limiti, al fine di salvaguardare una somma minima, da garantire sempre al pignorato affinché viva dignitosamente. Vediamo, dunque, quali sono le regole per un corretto pignoramento delle prestazioni previdenziali.
Premesso che i trattamenti diversi da quelli previdenziali, come quelli assistenziali, non sono pignorabili per la loro natura di ausilio alle categorie più fragili, le pensioni, invece, possono essere oggetto di pignoramento da parte dell’INPS.
La regola generale prevede che le sottrazioni non possono essere superiori a 1/5 dell’importo della pensione. Si tratta della somma che, come abbiamo anticipato, viene considerata necessaria per permettere al pensionato di affrontare le spese quotidiane. Di conseguenza, i pignoramenti possono avvenire solo sulla quota eccedente tale limite, che ammonta a due volte l’Assegno Sociale. Poiché quest’ultimo, per il 2025, ammonta a 538,69 euro al mese, sono salve le prestazioni di importo fino a 1.077,24 euro. Se la pensione è uguale o inferiore a mille euro, è completamente impignorabile.
Sulla quota eccedente il minimo vitale, poi, vengono applicate determinate aliquote. Per le pensioni fino a 2.500 euro, la parte pignorabile è pari al 10%, le pensioni tra 2.501 e 5 mila euro sono pignorabili fino al 14,3%, mentre gli assegni superiori a 5 mila euro soggiacciono alla pignorabilità fino al 20% della parte eccedente il minimo.
Il discorso è differente se il creditore è l’INPS. In tal caso, infatti, l’Ente può procedere con la cd. trattenuta diretta, ai sensi dell’art. 69 della Legge n. 153/1969. Se, dunque, l’Istituto di Previdenza vanta un credito nei confronti di un contribuente (magari perché quest’ultimo ha percepito indebitamente una prestazione o un rateo di essa o non ha provveduto al versamento dei contributi), è abilitato a trattenere fino a un quinto dell’intera pensione mensile. L’unica soglia da dover rispettare, in tal caso, è l’importo del trattamento minimo INPS, pari attualmente a 616,67 euro.
Per capire in che modo funziona la trattenuta diretta, è utile proporre un esempio. Supponiamo che Tizio percepisca una pensione netta di 1.450 euro al mese e che abbia dei debiti con l’INPS. In tal caso, l’Istituto sottrarrebbe 290 euro al mese e, dunque, l’assegno si ridurrebbe a 1.160 euro.
A pochi giorni dalle nozze, un segreto inconfessabile rischia di mandare tutto in frantumi tra…
I fan di Uomini e Donne hanno dimostrato tutta la loro vicinanza all'ex dama del…
La Lancia ha la sola Ypsilon nella propria gamma attuale, ed una sua particolare versione…
La storia della FIAT è ricca di auto entrate a far parte dell'immaginario collettivo, ma…
Il rampollo della famiglia Agnelli, John Elkann, ha ereditato una posizione economica da capogiro. Elon…
Biografia ed esposizioni di Dulbecco Gian Paolo Nasce a La Spezia il 12 settembre 1941.…