L’arte che si muove, vibra e respira con chi la guarda: l’Arte Cinetica unisce scienza, luce e libertà creativa in un’esperienza sensoriale unica
L’Arte Cinetica nasce nel secondo dopoguerra, nel momento in cui l’astrazione geometrica iniziava a perdere forza e interesse. Il termine “cinetica” deriva dal greco kinesis, cioè “movimento”: il cuore di questa corrente è infatti il movimento reale o percepito all’interno dell’opera d’arte.
Le prime sperimentazioni si devono a Naum Gabo, autore di vere e proprie “costruzioni cinetiche” in metallo, seguite dalle macchine costruttivistiche di Wladimir Tatlin, Alexander Rodtschenko e László Moholy-Nagy. Anche Marcel Duchamp e Man Ray contribuirono con opere basate sul movimento e sulla luce, anticipando le future ricerche ottiche.
Negli anni Sessanta l’Arte Cinetica esplode in Europa grazie a gruppi come il Groupe de Recherche d’Art Visuel in Francia e il collettivo Movimento a Mosca. Questi artisti utilizzano meccanismi, materiali tecnologici e luce artificiale per creare opere dinamiche, coinvolgendo lo spettatore in un’esperienza percettiva nuova.
Le opere cinetiche, optical e programmate indagano la visione, il movimento e gli effetti ottici. Spesso si basano su figure geometriche e colori contrastanti, capaci di generare vibrazioni visive e illusioni di moto anche in superfici statiche.
L’Arte Cinetica è strettamente legata ma non identica all’Arte Programmata, termine coniato da Bruno Munari. Mentre la prima si fonda sul movimento reale o illusorio, la seconda si basa su un programma di variazioni visive predeterminate, spesso guidate da principi matematici o casuali.
La prima mostra di Arte Programmata si tenne nel 1962 presso il negozio Olivetti di Milano, su iniziativa di Giorgio Soavi e dello stesso Munari, con un testo introduttivo di Umberto Eco. In Italia si distinsero il Gruppo T (Anceschi, Boriani, Colombo, De Vecchi, Varisco) e il Gruppo N (Biasi, Costa, Chiggio, Landi, Massironi).
Bruno Munari (Milano, 1907–1998) è considerato uno dei più grandi maestri del design e della grafica del Novecento. Inizialmente vicino al Futurismo, sperimentò forme, colori e luce, arrivando a creare le celebri “Macchine inutili” (1933), anticipatrici dell’Optical Art. Munari teorizzò anche il Manifesto del Macchinismo (1952), invitando gli artisti a superare i mezzi tradizionali per abbracciare la tecnologia.
Accanto a lui operarono artisti come Enzo Mari, i membri del Gruppo T e del Gruppo N, ma anche, a livello internazionale, figure come Alexander Calder, Jean Tinguely, Pol Bury, George Rickey, Vassilakis Takis e Günther Uecker. Tutti condivisero l’idea che l’arte potesse essere un’esperienza attiva, in cui lo spettatore diventa parte dell’opera.
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