Pericle Luigi foto

Biografia e vita di Pericle Luigi (Svizzera 1916-2001)


Luigi Pericle Giovannetti, questo il suo vero nome al completo, è uno dei tanti artisti riscoperti in epoca successiva ai loro reali successi.

Nasce a Basilea nel 1916 da padre marchigiano e madre francese.

Luigi da giovane studia varie filosofie del passato e dell’oriente, alla ricerca di una trascendenza spirituale che poi verrà traslata sulle sue opere.

Infatti, dipinge sin da giovanissimo.

Diventa noto come illustratore nel ’52, a 36 anni, disegnando il personaggio "Max", un fumetto senza testo che sembra un criceto, ma anche una marmotta e che gli consente di guadagnare una certa fama, anche internazionale, dato che il simpatico roditore diventa popolare in Europa, Stati Uniti e Giappone.

Negli anni Cinquanta va a vivere ad Ascona, nel Canton Ticino, con la moglie Orsolina Klainguti, pittrice grigionese dalla quale non si separerà mai.

Pericle teneva la sua vita da pittore lontana dalla attività di illustratore.

Firmava i quadri come "Luigi Pericle" e i disegni come "Luigi Giovannetti", il che chiaramente già lascia presagire molto del suo carattere.

Nel ’58, la prima svolta: distrugge quasi tutte le sue opere figurative (pare che solo un paesaggio sia sopravvissuto al massacro) e ricomincia la sua ricerca da una prospettiva nuova.

Nel ’59, la sorte gli è favorevole: incontra Peter G. Staechelin, collezionista di Basilea già proprietario di vari Picasso, Matisse, Monet, Renoir (e così via) che acquista molte delle sue opere e che gli regala una casa alle pendici del Monte Verità (sempre ad Ascona), definito da molti, tra i quali Philippe Daverio, come un luogo mistico, iniziatico, esoterico.

Pericle chiama quel luogo "Casa San Tommaso", perché in quel periodo si sentiva particolarmente vicino alla filosofia del santo d’Aquino.

Da quell’incontro la carriera d Pericle decolla: espone a Londra, diventa amico di Sir Herbert Read, il consulente di Peggy Guggenheim, ed entra nelle collezioni più prestigiose.

Ma poi arriva una seconda svolta: nel 1980, dopo una fase di ascetico isolamento dal mondo mondano delle gallerie e dei vernissages, Pericle smette improvvisamente di dipingere per dedicarsi ai suoi interessi.

Morirà nel 2001, ad Ascona, quattro anni dopo Ursula.

Recentissimamente, però, Andrea e Greta Biasca–Caroni hanno comprato la casa dell’artista e tutte le opere, fondando un archivio con base ad Ascona che si occupa di promuovere la conoscenza e lo studio di Pericle.

Ad accorgersi della straordinaria rilevanza pittorica di Pericle, in questi mesi, sono stati in molti, ma tutto è partito dalla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, che gli ha dedicato un’ampia retrospettiva nel piano acqua dell’elegantissimo Palazzo Querini, in Campo Santa Maria Formosa.

La pittura di Pericle, come spiega molto bene Bochicchio nel suo saggio per il catalogo (ed. SilvanaEditoriale), riporta le retine di chi la osserva all’idea di uno sguardo attraverso la struttura della materia e quindi attraverso il tempo e lo spazio.

La simultaneità (la cui più importante ascendenza è senza dubbio quella futurista e cubista d’inizio secolo) è dunque un primo elemento portante nell’opera di Pericle.

Altro elemento portante dell’opera di Pericle è una chiara visione strutturale dello spazio: una sorta di trama sottende infatti alla definizione delle immagini, pur senza rispondere a un ordine geometrico oggettivo, ma anzi restituendo aggregazioni libere di forme che immediatamente rimandano a una dimensione sostanziale dell’energia della materia invisibile.

Per intenderci, sebbene sia difficile etichettare la sua produzione, potremmo avvicinarci ad una definizione corretta classificandolo come un informale alla massima potenza: guardando le sue tele e le masoniti possono emergere dalla nostra memoria le forchette di Capogrossi, i tratti accennati di Tobey, quelli compatti e folti di Kline, quelli fugaci di Mathieu, le forme di Appel o De Kooning, fino a degli accenni dei gruppi filamentosi di Hartung.

Però tutto ciò si evolve verso una personalissima interpretazione dell’informale, inteso chiaramente come il rifiuto di aderire sia all’astrattismo che al figurativismo sguazzando però in entrambe le fazioni.




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