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Curiosità sui gatti

Perché si dice che il gatto nero porti sfortuna?

Fin dall’antichità, in Egitto, i gatti sono legati a credenze popolari e culti religiosi, proprio in questo periodo il gatto di colore nero viene associato al culto della dea Iside mentre nel Medioevo, durante la caccia alle streghe, i gatti venivano identificati come animali legati alle streghe ed insieme a loro, bruciati.

Alcune culture suppongono che il gatto nero, a cui venga riservato un trattamento particolare, porti bene. In alcuni paesi è rimasta la superstizione legata al gatto nero ma non solo per quanto riguarda la presunta vicinanza con le streghe.

Al giorno d’oggi si crede che se un gatto nero ci attraversa la strada è presagio di sventura.

Questa credenza deriva dal Medioevo poiché l’animale si confondeva con il buoi della notte e quando si presentava dinnanzi ad una carrozza, per il fatto che si illuminavano solo gli occhi del simpatico animale, i cavalli si imbizzarrivano facendo perdere il controllo al conducente.

Perché e come il gatto fa le fusa?

Il caratteristico “brontolio” che il gatto è in grado di produrre per ore e ore, anche con la bocca chiusa o mentre succhia il latte, è un suono gutturale doppio, risultato sia dell’inspirazione sia dell’espirazione.

Le fusa sono infatti un segnale per comunicare alla madre che l’operazione di allattamento sta procedendo al meglio. Di solito vengono fatte quando il gatto è contento, per esprimere una sensazione di amicizia, ma possono anche essere emesse quando è malato, ferito o moribondo. Anche in questi casi vuole infatti mandare un messaggio. Nei loro rapporti con l’uomo, che prende un po’ il posto della loro madre biologica, probabilmente se ne servono per comunicare il loro bisogno di attenzioni.

Perché i gatti a volte mangiano i propri cuccioli?

Il cannibalismo negli animali è una pratica abbastanza diffusa, ma le ragioni possono essere diverse. Il gatto maschio per esempio può sopprimere la prole perché in questo modo non rischia di dover competere con i figli maschi, quando saranno diventati grandi. La femmina invece può decidere di mangiare i propri piccoli quando non è in grado di allevarli, o quando le condizioni ambientali sono tali da non garantire la sopravvivenza dei cuccioli. Si tratterebbe, insomma, di una particolare forma di controllo della popolazione, che consente tra l’altro all’adulto, stremato dall’assenza di cibo, di recuperare proteine. (fonte: Focus)

I gatti mummificati

Le più antiche tracce dell’ amicizia fra uomo e gatto risalgono a circa 9000 anni fa, come testimonia lo scheletro di un felino ritrovato in una tomba a Cipro.
Gli antichi Egizi addirittura adoravano i gatti, come espressione della divinità, ed erano soliti mummificarli per seppellirli accanto ai padroni. Lo stesso avveniva per molti animali domestici (leoni, falchi e scimmie), ma ai felini era riservato un trattamento speciale come ha recentemente ipotizzato un gruppo di ricercatori dell’università di Bristol (Inghilterra). Secondo gli archeologi, infatti, gli antichi Egizi mettevano la stessa cura destinata agli esseri umani anche quando si trattava di mummificare i gatti.

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature, è basato sull’esame delle mummie di due falchi, un gatto e un ibis risalenti a un periodo compreso tra l’828 e il 343 a.C. Analizzando piccoli campioni di tessuto prelevato dalle mummie hanno sono state trovate tracce di grassi animali, oli, cera d’api, gomma, zuccheri, resine di pino e di pistacchio, esattamente le stesse sostanze utilizzate per le migliori mummificazioni delle persone.

La cera d’api veniva impiegata per le sua azione antifungina, mentre gli oli vegetali impermeabilizzavano la mummia. Le resine degli alberi (conifere e pistacchio) erano adoperati per la loro proprietà antimicrobiche e la gomma di zucchero per attaccare le fasciature. Completava la mummificazione uno strato di bitume nero, colore che nell’antico Egitto rappresentava la vita. (fonte: Focus)

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