riforma globale

Idee per una nuova forma politica

Il BENESSERE delle popolazioni

Non è certo il PIL a quantificare il benessere. Il PIL è semplicemente lo strumento di misurazione del consumismo. Una famiglia che, tramite il risparmio oculato, le rinunce a beni superflui, il raggiungimento di una maggiore indipendenza dalla mercificazione (acquisti più ponderati, produzioni proprie di energie e di prodotti alimentari, per esempio) riducesse i suoi costi e le ore di lavoro, nella nostra società, così com'è impostata, rappresenterebbe un regresso, mentre invece andrebbe considerata più saggia, sicura e rispettosa dell'ambiente.

Nel rapporto sociale ogni cittadino deve essere partecipe allo sviluppo sano del paese e respingere o combattere qualsiasi illecito o distorsione. Così come, a parità di capacità, l'offerta di lavoro deve essere disponibile prescindendo dall'essere uomo o donna, giovane o anziano, di famiglia ricca o povera, italiano o straniero. Ma sugli stranieri s'innestano altre considerazioni che è importante introdurre.

La domanda è: è giusto dare lavoro a qualche milione di stranieri se, allo stesso tempo, generiamo qualche milione di disoccupati o precari (giovani in particolare) italiani? Che senso hanno i confini della patria se la patria non privilegia i propri cittadini? Perché festeggiamo una Unità d'Italia, se poi la rinneghiamo dichiarandoci difensori di globalizzazioni e società multietniche? I nostri nonni sono morti per difendere la nostra patria, ma noi ci sentiamo in dovere di non agevolare in alcun modo i nostri cittadini italiani?

La risposta più facile è che quei lavori presi dagli stranieri non sono accettati dai giovani italiani. E' vero. Ma perché? Abbiamo per anni inculcato ai nostri figli la necessità di diplomarsi o laurearsi, prescindendo dalle disponibilità d'impiego offerte dal mondo del lavoro o dalle loro reali ambizioni.

Abbiamo svilito l'utilità delle scuole d'avviamento al lavoro e degli istituti tecnici, delle attività manuali e sociali, per nobilitare lauree e diplomi spesso inutili perché non richieste. Oggi ci sono un sacco di ingegneri, avvocati, filosofi, ecc. che hanno dovuto ripiegare su attività non confacenti al loro livello culturale e ne abbiamo fatto dei disillusi depressi o arrabbiati.

Disponiamo di un buon numero di laureati che per anni non hanno partecipato al mondo del lavoro a causa dello studio, per poi entrare nel mondo dei disoccupati perenni, in carico alle famiglie. Non era meglio fare una politica che selezionasse solo gli elementi migliori, tenendo conto del numero chiuso di opportunità, per spingere invece molti giovani a iniziare a lavorare da subito, partendo anche con attività umili, ma con la speranza di risalire nel tempo la china? Ciò non avrebbe significato spazio nelle scuole ai figli di papà ricchi, ma spazio agli elementi che davano prova di maggiori capacità (anche qui, dunque, meritocrazia).


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Quante piccole imprese e artigiani avrebbero bisogno di più manodopera e devono rinunciarvi o ricorrere a stranieri? La gavetta è un passaggio utile a qualunque ragazzo o ragazza. E' un'esperienza di vita importante, che oggi viene sottratta ai giovani, deresponsabilizzandoli.

Ma torniamo alla politica.

Abbiamo già detto che il nostro sistema politico, prevedendo che debba esserci un governo ed un'opposizione, crea la premessa per una battaglia continua tra le parti, che rappresentano più o meno ampie nicchie di cittadini, trascurando spesso i compiti per cui l'abbiamo costituito e delegato e bloccando di fatto ogni utile e tempestiva iniziativa.

Qualsiasi governo sarà già in partenza vulnerabile se volesse fare delle buone riforme o combattere gli illeciti, perché avrà contro di sé di volta in volta quella parte di cittadini e/o istituzioni che ne sarebbero penalizzati. D'altra parte proprio questi interventi impopolari si prestano ad essere cavalcati dalle opposizioni, il cui obiettivo è esclusivamente quello di gettare il massimo discredito sull'operato del governo per sperare di vincere le prossime elezioni e salire al potere.

E' un gioco perverso, senza possibilità d'uscita, fallito in partenza.

Non ha alcuna importanza il tipo di struttura che si attiva, ovvero: che si tratti di pluripartitismo o di bipartitismo il risultato non cambia e lo abbiamo sperimentato. (Anche il compromesso di un governo di unità nazionale, al quale partecipi il più ampio schieramento partitico, non è una soluzione intelligente. Può servire a tamponare momentaneamente l'incapacità dei politici mestieranti).

Altrimenti c'è sempre chi governa e chi si oppone. Il termine stesso è già molto significativo.

Anzi, io direi che è più facile che sia il bipolarismo a radicalizzare la lotta, creando un bersaglio molto più identificabile, soprattutto quando un "grande leader carismatico" (non faccio nomi), tramite la sua potente macchina di propaganda, polarizza su di sé tutte le attenzioni che generano fascino in una parte di cittadini (quella parte che solidarizza col leader perché spera di trarne benefici personali e protezione) e odio verso la parte avversa in cui non si identifica e che viene strumentalizzata dall'opposizione.

Per superare questi difetti è inutile appellarsi al senso civico. La selezione naturale della carriera politica, in questo contesto, fa si che sia il più ricco e/o il più ambizioso e/o il più corruttore o il più scaltro a salire ai vertici più alti. E' semplicemente logico e naturale che sia così, sciocco stupirsene o indignarsene ogni giorno!

Detto questo, però, una critica è lecita solamente se perviene ad una proposta alternativa. Non basta denunciare i malanni, focalizzare i difetti, bisogna trovare le cure giuste.

In Italia questo tipo di dibattito a mio avviso è totalmente assente. Si parla e si scrive sempre lasciandosi coinvolgere al più basso livello della politica partitica e personalistica e mai analizzando il problema da un punto di vista più distaccato ed elevato.

Stabilito che il male da evitare sono i partiti ed il sistema contrapposto di governo e opposizione, che comportano l'assoluta carenza di princìpi meritocratici, bisogna pensare ad una soluzione in cui non esista un'opposizione, ma solamente un governo forte, ma non partitico e che sia perciò concentrato non sulle successive elezioni, ma sui reali e attuali problemi di gestione del paese.

Questo governo deve essere totalmente indipendente dalle lobby, dalle ricche famiglie industriali, dalle banche, dai clan mafiosi, dai condizionamenti religiosi e via dicendo. Un governo che sia composto da gruppi di lavoro dislocati nei vari ministeri.

Governo laico, indipendente, fatto di persone dalla incontestabile serietà e onestà, ma non basta ancora. Deve essere anche e soprattutto composto da persone competenti, molto competenti, in ognuno dei ministeri che lo compongono. Non è importante l'età dei suoi componenti, anzi c'è un lato positivo sia negli anziani, facendo riferimento alla loro ipotetica maggiore esperienza, che nei giovani, riguardo la loro maggiore capacità innovativa e creativa, così come è vero anche il contrario, cioè che i giovani sono spesso più incoscienti oltre che privi d'esperienza, mentre gli anziani sono più demotivati e privi di idee nuove.

Non si può fare neppure appello ai vecchi ideali, che hanno già mostrato il loro fallimento totale, sia che si pensi alle vecchie ideologie di destra o di sinistra.

Non si può essere per forza di cose solo conservatori, ma a volte non è neppure utile essere eccessivamente progressisti. La saggezza forse sta nell'equilibrio tra questi due atteggiamenti, quando si tratta di fare delle scelte importanti.

Il "motore" della politica dovrebbe dunque risiedere nei vari ministeri. E' lì che si devono concentrare le migliori intelligenze per l'attuazione dei programmi di gestione delle leggi e della politica in generale. Ovviamente stiamo parlando di un ipotetico governo di Stato, lasciando da parte per il momento i governi dei livelli inferiori, che però dovrebbero operare seguendo gli stessi principi.


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Stabilito un adeguato numero di ministeri, ognuno con un suo budget di spesa (la cui ripartizione deve avvenire tenendo conto delle priorità e gradi d'importanza prestabiliti), dobbiamo creare dei meccanismi che ne verifichino puntualmente i risultati, producendo tempestive correzioni di rotta laddove se ne presentasse la necessità e sostituendo in tempi ragionevolmente brevi quei componenti che non operassero in modo adeguato. (responsabilizzazione diretta dei componenti dei gruppi di lavoro ministeriali).

E' ovvio che i ministeri non possono operare disgiuntamente da linee generali di sviluppo stabilite ad un livello più alto e univoco. Ed è per questo che occorre un congresso o una camera, chiamiamola come si vuole, ove siano stabilite le strategie e le priorità degli interventi, in accordo anche con le direttive sovranazionali (come spiegato in precedenti capitoli).

Se tutto questo avvenisse senza la conseguenza che i singoli componenti del collegio siano in antagonismo tra loro, ma siano invece indotti a operare con il massimo spirito collaborativo, il meccanismo dovrebbe funzionare bene, al riparo da demagogie, scandalismi, ingiurie, invidie, nepotismi, corruzioni, tradimenti o altro.

Il sistema di guida forse più solido è quello del "triumvirato". Per ciascuna posizione di comando ai più alti livelli si potrebbero scegliere 3 persone qualificate ed affiatate. Ogni decisione diventerebbe valida se accettata da almeno due su tre membri.

Il loro operato, poi, potrebbe o dovrebbe ispirarsi in grande misura alle soluzioni già adottate in altri paesi e che si siano dimostrate altamente valide, ovvero "le migliori". Non è furbo inventarsi ogni volta l'acqua calda!

Questo meccanismo non prevede il turnover dei suoi componenti. I fattori di merito diventano l'elemento elettivo del gruppo e della sua continuità. Un dirigente rimarrà al suo posto per tutto il tempo in cui dimostrerà di operare al meglio. Cavallo che vince non si cambia!

Il principio è quindi ispirato a valori profondi di giustizia e di eguaglianza su cui sono fondate l'ideologia e la cultura del merito e di conseguenza della responsabilizzazione.

Questo meccanismo potrebbe essere a sua volta proiettato sulle istituzioni di livello inferiore, ovvero a livello di Comuni, accorpando i più piccoli. Le province e le regioni non servono ad altro che a creare altre poltrone. Se una legge o un acquisto di beni o servizi è ottimale per la Lombardia, non si vede perché non debba esserlo parimenti per la Sicilia, o viceversa. Inoltre accentrare gli acquisti (penso al settore della sanità, per esempio) significa spuntare prezzi migliori!

Occorre inoltre introdurre criteri concorrenziali e di coinvolgimento negli uffici, nelle università, negli enti e nelle aziende pubbliche. Diffondere i modelli organizzativi ed operativi migliori.

D'altra parte, con gli attuali strumenti informatici è diventato più facile produrre statistiche, incrociare dati, rilevare inefficienze, valutare, controllare, favorire e premiare i migliori.

Combattendo così efficacemente tutti gli sprechi e abusi della spesa pubblica e i clientelismi (per non parlare di truffe vere e proprie!).

Da sola, però, l'affermazione isolata del merito rischia di costituire un fattore di disgregazione della società. Una società coesa necessita anche e soprattutto della solidarietà e del senso di responsabilità dell'elite dirigente.

Se coloro che stanno ai vertici perseguono soltanto il loro interesse, se perdono di vista il bene comune e la responsabilità che li lega alla comunità in cui vivono, potremo forse costruire una società più ricca ed efficiente, ma non una società più libera e sana. L'indifferenza verso le necessità degli altri, in particolare verso i più bisognosi, non aiuta di sicuro ad edificare una società più umana.

La vera democrazia non consiste nel fare scegliere dai singoli cittadini chi guiderà il paese (perché non hanno spesso alcuna competenza sui temi e sulle capacità reali di un politico, ma possono invece essere influenzati da demagogiche promesse, da azioni ricattatorie o da voti di scambio, come succede oggi).

Il principio democratico in questo nuovo schema risiede nella selezione delle competenze e nel costante controllo dell'operato, con promozioni o esclusioni a seconda dei risultati conseguiti.

Chi lavora bene e molto rimane al suo posto ed è premiato anche economicamente. Chi fa ostruzionismo, tanto per mettersi in mostra, chi è un incapace o si dimostra disonesto o poco cooperativo, perde l'incarico.

Questo meccanismo presenta anche un altro vantaggio: l'insieme dell'organico costerebbe meno di quanto costano oggi i nostri apparati governativi. Resterebbe la figura del Presidente della Repubblica, più o meno con i compiti attuali, ma verrebbero meno 950 figure tra deputati e senatori, con tutti i costi indotti che ciò comporta.

Non ci sarebbero costi destinati al mantenimento dei partiti e costi per le frequenti elezioni, anche se queste non verrebbero eliminate del tutto, ovviamente. Qualsiasi sistema politico si decida di instaurare si deve sempre fare in modo che questo, se non più suffragato dal consenso popolare, sia facilmente sostituibile.

Inoltre, non dovendo dibattere burocraticamente in parlamento, il nuovo meccanismo governativo sarebbe molto più rapido e reattivo nelle decisioni.

Fermo restando che l'operato dei singoli ministeri debba sempre passare al vaglio del Presidente della Repubblica e delle verifiche di costituzionalità e copertura.

Di questo io credo abbiamo bisogno. La vera gestione politica agli occhi del cittadino dovrebbe apparire "complessa e noiosa" e non come una "sitcom" o un varietà. Solo quando sarà così potremmo dire d'avere instaurato un meccanismo politico moderno ed efficace.

Oggi i nostri politici passano metà del loro tempo a pavoneggiarsi in televisione o postare messaggini, o a farsi intervistare dai giornali (e molto di più a difendersi dagli scandali da loro stessi provocati).

Noi vogliamo, invece, che gestiscano le esigenze del nostro paese senza farsi notare; saremo noi ad apprezzare sulla nostra pelle i miglioramenti e le evoluzioni nel tempo delle loro attività.

Tutto ciò richiede la revisione completa della Costituzione, che per i nostri politici è sacra e intoccabile o quasi.

E' evidente che una nuova Costituzione, dopo settant'anni e le evoluzioni che ci sono state, non sarebbe male pensarla. Ovviamente il progetto non può essere affidato agli attuali uomini politici, perché rappresenta la fine delle loro carriere, la fine dei loro partiti, che cambiano nome, ma mai sostanza, la fine delle loro grandi speranze di ascesa al potere alle prossime votazioni.

Già il primo articolo della Costituzione "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" rappresenta un principio forse valido quando venne espresso, come conseguenza della seconda guerra mondiale, con un Paese distrutto e affamato anche di lavoro.

Oggi questo articolo a mio avviso potrebbe essere concepito con vedute più ampie, come ad esempio: "L'Italia è una Repubblica democratica e meritocratica, che si prefigge il benessere dei suoi cittadini". Dove il termine "benessere" dovrebbe identificarsi con: Salute, Sicurezza, Lavoro, Socialità.

Il concetto di "socialità" andrebbe poi sviluppato in termini di rispetto dei reciproci diritti e assolvimento dei propri doveri, aiuti consistenti a tutte le frange più deboli, partecipazione attiva alla vita pubblica, rispetto assoluto della cosa pubblica, partecipazione pacifica agli aiuti verso le popolazioni bisognose.

In tutto questo progetto innovativo il criterio che deve fare da motivo conduttore è dunque l'ispirazione al principio meritocratico e della responsabilizzazione sociale.

Questo va introdotto a tutti i livelli, in opposizione alla tendenza attuale all'individualismo egoistico. Concetto di premio/punizione: fai bene guadagni stima e soldi, fai male, perdi stima e soldi, in un certo senso l'opposto del comunismo, che si basava principalmente sul garantismo deresponsabilizzato.

L'umanità è tendenzialmente portata alla corruzione e all'egoismo, per integrarla in una società e non farle subire solamente il peso del dovere fine a sé stesso (da cui tende a sottrarsi) dobbiamo metterla nel giusto equilibrio tra le parti e darle altri incentivi. Faccio bene sono premiato, faccio male o non faccio nulla sono punito. E' un principio semplice, che capiscono anche animali e bambini!

La parte più difficile è avviare una grande riforma di questo genere e come attuare i metodi per il controllo dell'operato, di questo me ne rendo perfettamente conto. Ci vorrà del tempo per affinare i meccanismi di valutazione, ma ci si può riuscire sicuramente. A tale scopo ci sono già vari tentativi adottati in diverse nazioni, ma solo a livello settoriale (università, ospedali, imprese).

Ciò sarà valido per i ministeri del governo, ma anche per tutti gli altri vari istituti, dalla magistratura alle scuole e università, con i loro reparti di ricerca, agli ospedali, ai comuni, alle regioni e via dicendo. E' un principio che dovrebbe servire anche a migliorare il livello educativo/formativo dei nostri figli, cresciuti in un mondo devastato dal consumismo fine a sé stesso, senza principi, senza morale senza etica senza rispetto per nulla che non sia il successo effimero e il guadagno facile.

Le linee guida del nuovo governo ministeriale devono essere dettate dal rispetto delle libertà di scelta individuali, (quando non siano in conflitto con la società), dal rispetto per l'ecosistema e dal rispetto verso le altre popolazioni.

Per questo occorre una nuova costituzione che sia più ampia nelle linee guida generali e più aggiornata al progresso umano ed ai problemi energetici e dell'inquinamento, oltre a regolamentare le basi delle leggi sociali.

Prosegui col dettaglio del progetto leggendo la pagina successiva:
4) Difetti della democrazia di rappresentanza


Autore: Enrico Riccardo Spelta

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